|
Cuba |
|
Una identità in movimento
|
|
A Chano Pozo, il rumbero che cambió il Jazz.
Parole in memoria del tamburo di Cuba che ci lasciò sessant'anni fa
Gian Franco Grilli
Se fosse ancora vivo, Chano il 7 gennaio 2009 compirebbe novantaquattro anni.
E invece all'inizio di dicembre si è celebrato il sessantennale della sua scomparsa.
Per conoscere a fondo la sua breve ma straordinaria carriera vi rimandiamo, tra i vari materiali pubblicati, al bellissimo ed esaustivo libretto che accompagna i 3 cd del cofanetto Chano Pozo El Tambor de Cuba (Tumbao Cuban Classics, 2001) oppure alle diverse pubblicazioni del documentatissimo critico cubano Leonardo Acosta tra cui l'ottimo testo Raices del Jazz Latino: un siglo de Jazz en Cuba (Editorial La Iguana Ciega, 2001) e un bel servizio apparso sulla Revista Salsa Cubana, n. 11/2000.
Noi invece ci limitiamo a ricordare la figura di Luciano Pozo Gonzáles con queste poche righe, che mettono assieme brevi note biografiche partendo dalla sua morte e alcune dichiarazioni di musicisti, critici e persone che hanno conosciuto o studiato l'arte musicale di Chano.
E in questo senso un punto di riferimento importante è rappresentato dal materiale raccolto da Cristóbal Sosa López, giornalista e studioso che ho avuto il privilegio di conoscere all'Avana una dozzina di anni fa e con il quale ho collaborato traducendo e curando l'edizione italiana di suoi articoli pubblicati nel nostro Paese.
Incominciamo a ripercorre la vicenda del maestro del tamburo dai suoi ultimi istanti di vita.
New York, Harlem. 2 dicembre 1948, sono circa le nove di sera quando Chano Pozo entra nel Rio Café, un piccolo locale dove la musica registrata fa da sottofondo alle chiacchiere dei clienti. Chano si avvicina al juke box per ascoltare il suo Manteca, il brano più gettonato in quel momento. Sorride per il successo che sta riscuotendo, tamburella sul vetro del juke box, la sua mente si muove tra i quartieri dell'Avana per ritrovare i volti dei famigliari e degli amici più cari, e non si accorge dei rischi che sta per correre. È assorto nei suoi pensieri, una voce lo chiama, Chano si gira e il suo sguardo incontra quello di Eusebio Muñoz "El Cabito". Che estrae l'arma dalla tasca e a bruciapelo spara sette colpi a Chano. Il tumbadór cubano cade a terra esanime tra rumori di bicchieri e la confusione degli avventori.
Poche ore dopo, Mario Bauzá e Machito (i primi ad accorrere al Rio Café) riescono finalmente a comunicare la tristissima notizia a Miguelito Valdés, ma le sue orecchie si rifiutano di credere a quelle parole.
La vigilia di Santa Barbara le agenzie di stampa battono la notizia: il tamburo di Cuba è morto.
E Miguelito Valdés, sconvolto e incredulo della tragica fine di Chano, prima, organizza una veglia funebre alla quale interverranno tantissime persone tra cui Duke Ellington, Count Basie, Dizzy Gillespie, Cab Calloway, Tito Puente, Machito, Bauzá e altri.
Eppoi si incarica di far ritornare la salma di Chano all'Avana, dove era nato il 7 gennaio 1915 e oggi riposa nel Cimitero Cristobal Colón.
Da quella fatale e gelida notte newyorchese sono trascorsi 60 anni, ciò nonostante Luciano Pozo Gonzáles vive nella musica che ha composto, nei suoi ritmi straripanti di energia, nel suo carisma. Chano è diventato il mito di tutti i percussionisti, anche se non l'hanno potuto ascoltare molto. In effetti ha inciso poco, non ha avuto tanto tempo per esprimere appieno il suo talento.
Personaggio leggendario, nero, povero, discriminato, Chano fu coinvolto in numerosi problemi con la giustizia: un giovane dalla vita turbolenta. Si parla ancora molto di come Chano arrivò alla notorietà, del suo talento, del genio, ma anche di polemiche scaturite dal suo forte temperamento, del suo rapporto con le religioni afrocubane (la sorella disse che lui adorava Changó, per altri invece il culto abakuá), di equivoci ecc.
Il dibattito sulla sua figura artistica forse sarebbe più omogeneo e meno contrastato se Chano avesse avuto dalla vita ancora qualche anno a disposizione, ma purtroppo dobbiamo basarci su quello che ci ha lasciato come incisioni e opere scritte. E partendo da questo materiale ci sono musicologi, critici e anche musicisti che non lo considerano il miglior tamborero espresso da Cuba.
A sostegno della loro tesi mettono a confronto la tecnica ancestrale di Chano con il virtuosismo moderno di questo o quel tumbadór, senza poi contestualizzare le varie situazioni, le epoche, gli strumenti a disposizione: lui suonava con tumbadoras rudimentali (le pelli non avevano tiranti metallici ma erano intonate con il fuoco o fonti di calore!) rispetto a quelle nate dagli anni Cinquanta in poi. C'è poi chi ha tentato di sminuire il suo ruolo sostenendo che prima di lui altri cubani avevano trionfato nella musica afroamericana, eppoi addirittura c'è chi ritiene che il suo successo sia legato alla fortuna.
Alcune critiche hanno un fondo di verità e stimolano una riflessione, ma sono maggiori i fatti che stanno dalla parte di Chano e testimoniano il suo lavoro, il talento e quel tocco di genialità che nessuno prima di lui aveva saputo offrire. Chano non solo apri un nuovo cammino internazionale al ritmo cubano, ma con le sue mani portò qualità e colore nel bop ribelle. Infatti, se da un lato i beboppers riscattarono la dignità dell'afroamericano in una società che lo emarginava, dall'altro versante Chano con il suo tamburo iniettò nuova africanità al jazz.
Dunque Chano è stato il più influente nell'intrecciare il ritmo afrocubano e il jazz, così da guadagnarsi un posto nella storia della musica mondiale. Legittimo, quindi, che Pozo Gonzáles sia diventato un personaggio mitico nell'universo del jazz, meno naturale, invece, che il suo Paese per molti anni non gli abbia riconosciuto i meriti conquistati sul campo. Con la Rivoluzione, e poi con il primo viaggio a Cuba di Dizzy Gillespie alla fine degli anni Settanta, le cose iniziarono a migliorare e ora su Chano ci sono maggiori informazioni.
Oggi, rievocare Chano Pozo non solo è un riconoscimento, ma anche un dovere di chi ama la musica afrolatinoamericana. Doveroso in quanto tutti i professionisti della percussione, congueros, bongoseros, timbaleros, batteristi, ma anche amanti dell'afrocuban jazz e della salsa (suonata e ballata) non possono prescindere dall'opera innovatrice e geniale del rumbero e compositore Luciano "Chano" Pozo.
Infatti la sua energia continua a influenzare i suonatori di tumbadoras di tutto il mondo, nomi famosi come Giovanni Hidalgo, Roberto Vizcaíno, Yaroldy Abreu e tanti altri di altissimo livello ma anche discepoli meno noti e cresciuti al di qua dell'Oceano e che hanno dedicato tutta la loro vita alla scoperta del ritmo afrocubano e dei loro maestri ispiratori.
Tra gli italiani, un bell'esempio è fornito da un musicista bolognese, uno che sta con i piedi per terra, ma quando mette le mani sulle pelli delle tumbadoras i suoi ritmi ti portano lontano, tra le terre d'origine di questi pattern.
Lui è Gianni Battilana, alias Juan Batikuero, nome familiare tra i musicisti italiani di salsa e latin jazz, ma meno noto ai non addetti ai lavori. Approfitto dell'occasione per segnalarvi dove ascoltarlo:
E iniziamo il nostro modesto omaggio a Chano Pozo proprio con una domanda a Battilana e poi proseguiamo l'itinerario andando ad ascoltare altre voci.
Gianni, cosa significa per te Chano?
"Ho scoperto Chano Pozo alla fine degli anni Settanta assieme ad altri percussionisti come Mongo Santamaria, Ray Barreto, Armando Peraza, quelli poi che si ascoltavano maggiormente anche al di fuori dell'ambiente strettamente salsero. Io ho suonato diversi brani di Chano Pozo, per esempio tantissime volte Manteca, uno standard ormai che entusiasma tutti, è attualissimo e nel latin jazz lo trovi in numerose versioni. Conoscere Chano per me ha voluto dire aprire una finestra su un mondo nuovo e curioso: nei dischi vecchi di Dizzy Gillespie sentivo questa tumbadora là dietro e bisognava tenere bene aperte le orecchie per capire cosa faceva".
Infatti quel ritmo si nascondeva nell'insieme orchestrale, ma c'era. E il sound di quel tamburo era "il ritmo che ha reso famoso e che ha fatto entrare Chano nel jazz" dichiarò il fotografo-bongosero cubano Cala al microfono di Cristóbal Sosa López, critico-giornalista di Radio Progreso. E si trattava di un pattern che
"... suonava più o meno così:
Tu tun, pá / tu tun, pá / tu tun, pá,
e se questo ritmo lo unisci a un contrabbasso, un sassofono, una tromba e una batteria, il gioco è fatto. È il ritmo che usa anche Manteca, dove si mette in evidenza sincope, contrattempo".
E per proseguire la conoscenza di Chano stiamo ancora alla dichiarazione di Cala. Lui viveva vicino alla casa della cantante Rita Montaner (che diventerà amica del cuore di Chano) e aveva sei anni quando conobbe per la prima volta Chano, che andava a suonare nella abitazione della Montaner assieme ad altri strumentisti.
"In quella casa, negli anni 1937/38 — continua Cala — ogni fine settimana si riunivano dei musicisti che suonavano di tutto, toques de santo, guaguancó, rumba, son, conga ecc. E a ritmare erano i migliori percussionisti di Cuba, tra cui Chano che si fece notare subito, perchè era un virtuoso, un grande percussionista. Guardando e ascoltando quei maestri imparai a suonare le percussioni e lì venni a sapere — credo da Rita Montaner — che Chano era il nero dai sessantatre colpi diversi, perchè sul quinto non ripeteva mai la stessa cellula ritmica, ma combinava i colpi in modo che fossero sempre nuovi, arricchendo con sfumature".
Torniamo a bomba su "Manteca", il brano n.1 di Chano Pozo che qualche anno fa ispirò una composizione che troviamo nell'album Tierra En Trance del gruppo Irakere. E quella composizione intitolata A Chano Pozo è stata scritta da Carlos Del Puerto (www.carlosdelpuerto.com), artista che oggi vive in Finlandia e ho raggiunto telefonicamente per capire come nacque quel brano e cosa ne pensa del lavoro artistico di Chano.
"Nel gennaio del 1985 mentre stavo scrivendo un metodo per chitarra basso — risponde l'ex-bassista di Irakere — mi venne in testa una melodia. La scrissi, ma poi non sembrò adatta per quel libro. Alcuni mesi dopo con la band iniziammo la registrazione di "Tierra En Trance" e Chucho Valdés mi chiese se avevo qualche brano da incidere. Risposi che avevo questa sorta di descarga cubana, ma senza nessun tipo di arrangiamento pronto. Partimmo subito così con quel motivo e decidemmo di utilizzare alcune melodie parafrasando Manteca per separare gli interventi dei vari solisti. Alla fine lasciammo un assolo al tumbadór, Jorge Alfonso El Niño e mentre stava terminando il solo si formò una rumba dentro il tema con El Tosco che iniziò a cantare e il coro rispondeva. Per questa ragione decisi che il nome più appropriato per quel pezzo era Homenaje a Chano Pozo, perché fu lui il pioniere della percussione cubana dentro il jazz. Dopo un po' di tempo El Niño si suicidò e così il brano si convertì non solo in un omaggio a Chano ma anche al nostro caro amico e tumbadór che era morto. Posso dirti che, tra tutte le mie composizioni, A Chano Pozo è la più conosciuta e la più interpretata, e oggi la trovi inserita in documentari, film e libri".
"Cosa ne penso di Chano? Fin da bambino sentii parlare di Chano da mio padre che suonava nell'orchestra di Obdulio Morales. Papà mi raccontava di alcuni spettacoli che questa orchestra realizzò assieme a Chano Pozo, poi mi diceva che si trattava di un musicista nato in un quartiere povero e con tenacia arrivò al successo mondiale. Mi portava questi esempi per spronarmi a fare meglio, perchè anch'io venivo da un ambiente povero, nel quartiere di Cayo Hueso. Sull'importanza e il ruolo di Chano io non ho dubbi: Cuba ha avuto grandi generazioni di percussionisti, ma è Chano che ha aperto per primo le strade internazionali ai ritmi cubani e grazie al suo talento la tumbadora si è conquistata un posto nella musica Jazz. E il risultato che ne derivò si chiama Cubop".
Il resto è storia.
E fin qui abbiamo sentito apprezzamenti su Chano. Ma come si è detto prima, sul suo conto ci sono voci contrastanti. Pareri diversi. Ecco allora altre variegate dichiarazioni-flash di persone che hanno conosciuto l'artista e di chi ne ha analizzato il lavoro.
L'attore Alejandro Lugo sostiene che Chano
"... parlava col tamburo, musicalmente era eccezionale, basti dire che quando i grandi del jazz lo ascoltarono decisero di introdurre il tamburo afrocubano nelle loro orchestre. Chano era affabile, quando ti parlava sembrava che ti abbracciasse, il suo contributo musicale è stato importantissimo e i neri possono esserne orgogliosi".
Oliverio Valdés, bongosero, che suonò con Chano nell'orchestra Havana Casino diretta da Osvaldo Timor, ricorda che
"Arsenio Rodríguez lo presentò a mio fratello, Miguelito Valdés, il quale registrò diverse composizioni firmate da Chano tra cui Blen, Blen, Blen e Nagüe. Fu così che diventarono amici e Miguelito lo aiutò ad andare negli Stati Uniti. Chano era una brava persona, ma il suo livello culturale non era granchè, reagiva spesso in modo violento, a volte con arroganza, non sopportava i soprusi. Mio fratello, ad esempio, lo avvertì come andavano le cose a New York, che non era una città facile, ma lui volle fare di testa sua e gli andò male".
Ma se alcuni rimproverarono a Chano di essere arrogante, testardo, non la pensava così la famosa compositrice Isolina Carrillo che a tal proposito disse:
".. se per arrogante si intende una persona che difende i suoi diritti, allora io avrei voluto essere come lui".
"... io scrissi una canzone, Dos Gardenias, che fu un grande successo. Ebbene, mi diedero due pesos come diritti d'autore e questo succedeva a tanti compositori in quegli anni e... Chano, però, non si faceva mettere sotto i piedi da nessuno, per questo ebbe problemi con la Società degli Autori. E quando un giorno andò a riscuotere i suoi soldi gli spararono".
Purtroppo due di quelle quattro pallottole restarono conficcate nella colonna vertebrale e per il resto dei suoi anni dovette convivere con queste "spine", sopportando periodici dolori che si manifestavano soprattutto quando stava a lungo in piedi.
E ancora sul carattere aggressivo di Chano, il musicologo-pianista-compositore Odilio Urfé afferma che
"... l'arroganza non era una delle sue caratteristiche essenziali".
Parlando invece di Chano dal punto di visto artistico, Urfé prosegue sottolineando che
"... era il classico esempio di musicista cubano che da rumbero diventa interprete di son e questo per motivi artistico-economici e di mass media. È stato definito il più grande rumbero di Cuba, ma io credo che questo sia un grave errore. Perché è vero che Chano eccelleva nella rumba columbia, ma questa è solo una variante moderna della rumba".
Come a dire: diamogli i meriti che gli spettano, ma non esageriamo. Infatti a sostenere questa tesi ci sono anche amici di Chano, i quali in varie occasioni hanno affermato che nella columbia lui era insuperabile, ma non nel guaguancó. Punti di vista e modi di vedere differenti. Normale. Ed è abbastanza consueto anche stare in bilico, dare un colpo al cerchio e uno alla botte, puntualizzare su dettagli o sfumature, come fa ad esempio Urfé quando ricorda che il nostro percussionista
"... iniziò una nuova linea, ovvero quella del tamburo nella jazz band. Con ciò non voglio dire che Chano fu il primo a utilizzare la tumbadora nell'orchestra jazz, ma sicuramente contribuì a fissare uno stile. Uno stile peculiare: pensiamo a Blen, Blen, Blen, oppure a Tu cara de parampampín, dove ripeteva ritmicamente una parola e questo lo distingueva da altri compositori cubani dell'epoca".
E il repertorio di dichiarazioni e opinioni su Chano potrebbe continuare quasi all'infinito perchè ci stiamo occupando di un personaggio assai pittoresco e anche molto ambizioso e vanitoso. Per esempio le cronache raccontano che appena i suoi guadagni glielo permisero incominciò a vestirsi in modo impeccabile, cambiandosi anche tre o quattro volte al giorno, dalle scarpe al cappello con abiti dei migliori tessuti inglesi.
Chano aveva tentato la fortuna a New York, ottenne successi in poco tempo, ma nonostante questa fama la sua testa era sempre all'Avana, nei quartieri dov'era cresciuto e di traduzione rumbera come Africa, Pablo Nuevo, Cayo Hueso, Jesús Maria, tra borgate o rioni marginali, abitati da gente ostinata e che affastellano molti discendenti delle etnie carabalì, congo, yoruba, abakuà. E questo mix interetnico lo portava nel dna.
A questo punto non possiamo terminare questo percorso senza riprodurre le voci registrate alcuni anni fa di figure importanti che hanno conosciuto da vicino Chano.
E chi addirittura fin dalla primissima infanzia, come Petrona, la sorella di Chano che in più occasioni ha tentato di chiarire alcune inesattezze sulla vita e la morte del fratello dicendo:
"... non è vero che Chano è nato nel solar avanero chiamato Africa. Lì ci andammo a vivere dopo la morte di nostra madre, ma nascemmo nel quartiere Vedado, in un caseggiato chiamato Pan con Timba. Mio fratello era molto carino con me e mise il mio nome ad alcuni dei suoi pezzi musicali. Mi ricordo bene dell'ultima volta che partì per gli Stati Uniti, dove poi venne ucciso da El Cabito: ammazzò mio fratello perchè qualche giorno si era sentito screditato dalle parole dure di Chano, che era un uomo d'onore e non tollerava truffe e soprusi. Chano davanti a tutti sbugiardò Muñoz El Cabito, che si vendicò reagendo in quel modo".
Un altro che a buon diritto può dire la sua sul conto di Chano è Dizzy Gillespie:
"È il più grande percussionista che ho ascoltato in vita mia".
In questo modo, e in varie occasioni, il trombettista e bandleader afroamericano sintetizzò tutte le opinioni esistenti su Luciano Pozo Gonzáles assieme al quale firmò pagine immortali nella storia del jazz. Loro due infatti — assieme a Mario Bauzá e altri — furono gli artefici principali della nascita del Cubop o afrocubanjazz che dir si voglia.
Poi abbiamo ancora le parole autorevolissime di Fernando Ortiz, il più grande etnomusicologo cubano, studioso ineguagliabile della cultura afrocubana, che ricordò Chano così:
"... appoggiandosi all'orchestra di Gillespie suonava ritmi prodigiosi, lasciando a bocca aperta un pubblico per mezz'ora, mentre cantava frasi piene di parole africane".
E infine il famosissimo critico statunitense Marshall W. Stearns (autore del libro The Story of Jazz) scrisse nel 1950 che
"Chano aprì ai percussionisti la strada verso nuove e illimitate possibilità".
E, a conferma di quanto appena detto, ecco il parere di un altro grande delle tumbadoras, il percussionista Tata Güines — scomparso un paio di anni fa — che apprezzò enormemente il conguero-ballerino-cantante e compositore avanero:
"Chano era fantastico, suonava secondo la chiave del son, basta ascoltare Blen blen, blen o Parampampin... tutti brani che partono dalla chiave del son. Lui era poliedrico e riusciva a fare musica con tutto e dappertutto: a una festa, in un solar, in un bar... ".
E in un bar di Harlem, il Rio Café and Lounge di Lenox Avenue, nel dicembre 1948, a poche ore dalla celebrazione dell'orisha afrocubano Changó, a soli 33 anni si concluse tremendamente la vita Chano Pozo, el tambor de Cuba, la grande stella che rivoluzionò il firmamento della percussione afrocubana e contribuì ad allargare il lessico jazzistico.
E per concludere l'omaggio al grande percussionista ricorriamo alla strofa finale del mambo "Chano Pozo" di Carlos Vidal Bolado:
Chano Pozo descansa
Cuba y la rumba te lloran
Todo el mundo está llorando
como murió ese hermano mio.
Pagina inviata da Gian Franco Grilli
Giornalista, responsabile del "Caribe" (Associazione culturale)
(19 dicembre 2008)
Cuba. Una identità in movimento
Webmaster: Carlo Nobili — Antropologo americanista, Roma, Italia
© 2000-2009 Tutti i diritti riservati — Derechos reservados